[vc_row][vc_column][vc_column_text]La Cassazione con la sentenza n. 26301 del 2021, ha fatto chiarezza affermando che il danno da perdita del frutto del concepimento coincide con il danno da perdita del rapporto parentale.
1. La vicenda giudiziaria
Una coppia di genitori, in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore, a fronte della morte del feto per responsabilità dei sanitari conveniva in giudizio l’Azienda Sanitaria. In particolare, essi attribuivano la causa dell’esito infausto della gravidanza all’omessa diagnosi di ipossia fetale, agli omessi trattamenti terapeutici necessari e al tardato ricorso al taglio cesareo che con elevata probabilità avrebbe evitato la sofferenza fetale e la morte del feto.
In primo grado la CTU Medico-Legale rilevava profili di negligenza e imperizia a carico dei sanitari concludendo per un giudizio prognostico di elevata probabilità che il feto sarebbe nato vivo se il taglio cesareo fosse stato effettuato tempestivamente.
Il primo Giudice, riconosceva il diritto al risarcimento per malpractice sanitaria in favore dei genitori e del fratello primogenito ma rigettava tutte le altre domande inerenti i “danni per perdita del frutto del concepimento” ritenendole a fondamento di domande nuove.
La quantificazione del danno avveniva adottando quale criterio di calcolo le Tabelle milanesi per la perdita del rapporto parentale riducendo le somme, posto che tali parametri si riferiscono alla perdita di un figlio nato vivo ma senza alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento in quanto non presenti indici di particolare gravità. Rilevava, infine, che la donna, si trovava ancora in età fertile e pertanto nelle condizioni di avere altri figli.
I genitori adivano la Corte d’Appello che confermava la decisione impugnata.
I ricorrenti impugnano la sentenza innanzi alla Cassazione lamentando:
- l’errore nel ritenere che il gravame fosse diretto ad ottenere un maggiore risarcimento dei danni subiti;
- l’incompletezza dell’istruttoria all’esito del quale gli stessi attori non erano stati messi nelle condizioni di provare la fondatezza delle pretese e la reale natura e consistenza dei danni subiti;
- l’errore nel ritenere che gli attori avessero svolto domande nuove: il panico, gli incubi, il mutamento delle abitudini di vita conseguenti alla morte del feto sarebbero stati danni diversi e ulteriori rispetto al danno non patrimoniale per la perdita del feto.
2. La decisione della Corte
Si premette che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale e, in tale prospettiva, rileva non solo la tutela della maternità sancita dall’art. 31, secondo comma, della Costituzione, ma quanto viene stabilito più in generale dall’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito.
Pertanto, i componenti del nucleo familiare sono legittimati a far valere una pretesa risarcitoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 c.c., nonché nella Costituzione e all’art. 8 della CEDU, che dà rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare.
La Cassazione afferma che il danno da perdita del frutto del concepimento coincide con il danno da perdita del rapporto parentale.
La perdita del rapporto parentale è rilevante, il relativo pregiudizio rileva sia in virtù della sofferenza interiore eventualmente patita sul piano morale soggettivo nel momento in cui la perdita del congiunto viene percepita nel proprio vissuto interiore, sia in quella ulteriore e diversa che eventualmente si rifletta in termini dinamico-relazionali sui percorsi di vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita.
Pertanto, il panico, gli incubi, il cambio di abitudini patiti dalla gestante in conseguenza alla morte del feto in utero non sono danni avulsi (e nuovi), rispetto alla domanda di risarcimento danni.
Nel caso di morte del feto, è proprio la sofferenza morale, debitamente allegata e provata anche a mezzo di presunzioni semplici, l’aspetto più significativo del danno invocato che è meritevole di ristoro.
Autore: Dott.ssa Martina Rapone
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